Page 7 - La Collezione di Vittorio Emanuele III
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Orlando Paladino Orlandini (1905-1986), una voce nuova nella medaglia del Novecento 113

femminile che, piegandosi, asseconda armoniosamente la curva del campo metallico               Orlando Paladino Orlandini (1905-1986). Serenata,
si contrappone l’istintiva reazione del bambino, felicemente tradotta in esplosione di         1954, bronzo fuso
spontanea naturalezza.                                                                         Nella pagina accanto
                                                                                               Orlando Paladino Orlandini (1905-1986). Il fiore,
     Il ricordo nostalgico e incalzante della sua terra di origine induce spesso Orlandini     1962, bronzo fuso
a ripercorrere la memoria dell’infanzia e adolescenza, trascorse solitarie nella campa-
gna della Maremma toscana. Se le nostre fantasie ci riconducono spesso al bucolico
pensiero di rilassanti luoghi campestri ai quali affidare il rinnovato benessere dell’anima
lontano dallo stress della vita moderna, per Orlandini la dimensione rurale si traduce in
fiera e operosa fatica che scava duramente la vita di uomini e animali. Da questo mondo
mai dimenticato, a cui l’artista volge con nostalgico orgoglio lo sguardo, scaturiscono
poetiche raffigurazioni dove la comunione degli esseri e delle cose è un obiettivo rag-
giunto. L’attento rispetto per le antiche consuetudini dei contadini, la devota memoria di
strumenti rustici e primitivi, il malinconico ricordo di attività desuete ispirano una grossa
parte della produzione medaglistica orlandiniana e traducono la sensibile partecipazio-
ne del maestro in intense espressioni di vita vissuta. Le figure, immerse in un’atmosfera
rarefatta, vengono rappresentate con istantaneità nelle loro mutevoli occupazioni: la
lavandaia, concentrata a trasferire le proprie energie nel suo gesto; la pastora, intenta a
rimestare nel paiolo con ritmata cadenza; le raccoglitrici di olive o di ghiande, attente a
proteggere le ginocchia dall’umidità del terreno; il pastore, assorto nell’immobile silenzio
dei pascoli. Ancora una volta il plasticismo compositivo delle forme, la pienezza dei
volumi, il realismo dei particolari trascendono l’angustia dello spazio metallico e in esso
si armonizzano, dando vita a quadretti di genere di intimo e poetico sapore.

     Quotidianità e verismo si palesano con medesimo gusto aneddotico nelle rappre-
sentazioni di animali, protagonisti anch’essi della agreste formazione dell’artista, a cui
egli guarda con benevola riconoscenza, colma di solidale malinconia. Funzionali alla
vita dell’uomo, Orlandini ne esalta l’eroico destino, contrapponendo spesso l’innocen-
te natura all’ineluttabile martirio: la corsa del cinghiale nella boscaglia non è libero
sfogo al naturale istinto, ma disperata fuga dall’assalto dei cani da caccia (Caccia
grossa, 1942); la pinguedine della scrofa, morbidamente abbandonata nell’allattare
i suoi piccoli (Novembre, 1940), sarà meta del suo sacrificio nel rispetto di un rituale
crudele e antico (Inverno, 1944); l’apparente serena indifferenza del bue accovac-
ciato nel giaciglio, ma con le zampe legate, si traduce in rassegnata attesa dell’ine-
sorabile fine (Allevamento, 1939). Ma in questo scenario di vita e di morte si staglia
la poetica rappresentazione della mucca maremmana che, in Serenata, maestosa e
imponente leva il prolungato muggito, trasformando l’atavico richiamo della specie in
armoniosa e struggente melodia.
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